Europa: Impossibilità’ Di Attuare Politiche Sociali Nell’Area Euro

 Lavorare meno, lavorare tutti: possibile in Europa?

Nell’Europa delle nazioni pre-euro tra le sinistre era in voga lo slogan “Lavorare meno lavorare tutti“, ovviamente a parita’ al di stipendio.

Aveva senso allora? Avrebbe senso oggi? Ma soprattutto sono ancora possibili politiche sociali anche minimali ?

Esiste un elemento di fondo che a volte sfugge completamente al comune cittadino e che manca del tutto, cosa purtroppo assai più grave, nel dibattito sui programmi politici di governo: la interconnessione delle scelte, le loro conseguenze, le risorse con cui finanziarle e, soprattutto, la compatibilità con il contesto vincolante dell’area Euro.

Il meccanismo della inflazione

L’idea proposta risale a 40 anni fa, “lavorare meno, lavorare tutti” , nonostante appaia una utopia, questa allettante vecchia proposta politica,aveva una sua valenza oggettiva e spiego perche’.

In un sistema chiuso e protetto dallo Stato e da una moneta propria, lo stato puo’ permettersi di legiferare aumentando, di fatto, il costo del lavoro a carico del datore di lavoro  che pagherebbe, con tale politica, uno stipendio uguale per ore di lavoro in meno e, di conseguenza viene costretto a  pagare altri laboratori che coprano quelle ore .

L’aumento del costo del lavoro finisce, così, per scaricarsi interamente sul costo del prodotto.

Le politiche protezionistiche

Tale naturale effetto, potrebbe essere compensato da politiche protezionistiche attuate tassando I beni esteri più’ di quelli interni e compensando, cosi’, l’aumento del prezzo dei beni prodotti.

Ciò, però, se consente il salvataggio delle imprese nazionali consentirebbe loro di scaricare sui cittadini, l’aumento del costo attraverso il prezzo aumentato dei beni. Il cittadino, peraltro, non avrebbe possibilità di comprare beni esteri a più basso costo stante le politiche protezionistiche che, attraverso la leva della tassazione, generano un necessario aumento dei beni di importazione.

Ovviamente appena questo effetto, che in economia si chiama “inflazione“, si manifesta sul mercato interno, impoverisce automaticamente il valore reale degli stipendi.

Al contempo sui mercati esteri, la merce prodotta avrebbe un costo maggiore e di conseguenza questo ridurrebbe le esportazioni.

Senza un intervento sulla moneta le politiche protezionistiche finiscono per aumentare l’inflazione, impoverire i salariati e, alla lunga, portare ad una riduzione anche del mercato interno e quindi ad un fallimento delle imprese

Un mercato interno protetto statalmente, oltre che impoverire sostanzialmente solo gli stipendiati e non le imprese (che continuano a vendere su un mercato interno almeno inizialmente), spinge alla riduzione della competitività’ e  della qualità’ del prodotto, ma soprattutto frena lo sviluppo tecnologico.

Possiamo ricordare in tal senso, l’abisso che separava I prodotti tecnologici russi alla caduta della URSS rimasti indietro di almeno 20 anni, basta osservare la tipologia dei veicoli in circolazione nei paesi che ancora mantengono regimi protezionistici e chiusi, per rendersi conto degli effetti deleteri sul progresso che queste politiche generano.

La soluzione Italiana degli anni 70 e 80: politiche protezionistiche + politica monetaria

In paesi come l’Italia degli anni 70 e 80, l’aumento dei salari, agganciato alla inflazione (indicizzazione), produceva alla lunga una svalutazione (riduzione del valore della moneta nazionale al cambio con quelle estere) costante del valore della moneta (serpente monetario) necessaria per riequilibrare il sistema e svalutava, di fatto, gli stipendi appena aumentati, attraverso una riduzione del valore della moneta in cui erano pagati, il tutto per favorendo la esportazione delle merci.

Di fatto questo determinò alla lunga, per l’Italia di oltre 40 anni fa, una inflazione a due cifre, ma al contempo diede origine ad una sempre più spinta ed aggressiva esportazione generata  dal costo ridotto di merci pagate in moneta di basso valore.

Al contempo la ricchezza industriale consentiva l’aggiornamento tecnologico e qualitativo delle merci producendo competitività anche qualitativa.

Ovviamente questo richiedeva una costante e congiunta direzione delle politiche economiche e governative di concerto con quelle monetarie. Di fatto questo richiedeva il controllo governativo della Banca Centrale.

Il Sistema Italia pre Euro: una macchina nata per generare lavoro e crescita economica

Il surplus monetario (differenza tra ricchezza importata attraverso la vedita all’estero di beni prodotti in italia e la fuoriuscita di ricchezza con l’acquisto in Italia di beni prodotti all’estero) della Italia di 40 anni fa aveva messo in seria difficoltà economie europee come quella tedesca e francese, che non erano in grado di assicurare la medesima efficienza autoalimentante del sistema industriale e sociopolitico italiano, in grado di assicurare al contempo, garanzia sociali ed economia forte paradossalmente grazie ad una moneta debole e ad un sistema protezionistico.

Ovviamente nella Italia di allora, l’aumento delle esportazioni compensava la riduzione delle vendite sul mercato interno e limitava, almeno in parte, la spirale dell’aumento dei prezzi.

Dal punto di vista generale possimao affermare che, giocando sul tempo che il sistema impiega per tornare in equilibrio, tra l’aumento dei salari, il conseguente aumento dei prezzi delle merci prodotti e quindi della  inflazione ed, infine, la derivante svalutazione della moneta, si poteva avere un periodo temporaneo di maggiore ricchezza dei lavoratori dipendenti, che non corrispondeva ad un impoverimento delle imprese.

Ai dipendenti, quindi,  si potevano chiedere piu’ tasse ,garantendo, cosi’, servizi per tutti e compensando e chiudendo un occhio sulla evasione fiscale delle imprese.

Esse, ufficialmente, pagavano enormi  tasse ma, come capita ancora oggi, evadevano abbondantemente, a differenza del.dipendente che, tassato alla fonte proprio attraverso chi evade (il datore di lavoro), non puo’ e non poteva evadere.

I meccanismi di gestione dell’Euro rendono impossibile politiche autonome di sostegno sociale

Tutto questo oggi non e’ piu’ possibile con l’euro e la politica liberista imposta dalle regole comunitarie, come scotto da pagare per restare in questa area e con il vincolo, di fatto, a privatizzare la Banche d’Italia mettendola in mano al sistema delle banche private

L’Europa,  infatti, si e’ imposta le semplici regole del controllo di bilancio, aggiungendo ad esse la follia della misura del disavanzo di bilancio (rapporto tra entrate ed uscite) fissato entro i limiti di un numero che é il rapporto tra il deficit pubblico  (ovvero debito che si compensa con minore spesa o aumento delle tasse) e ricchezza interna (che diminuisce con l’aumento delle tasse e la disoccupazione).

In ogni caso la politica del “lavorare meno lavorare tutti” non e’ piu’ possibile poichè manca la leva del controllo allo Stato esercitata attraverso:

  • il controllo della emissione della moneta,
  • la leva della svalutazione,
  • la leva della chiusura del mercato con tassazione delle merci estere (impossibile nel sistema a moneta unica comunitario)
  • e la possibilità’ di favorire le esportazioni con la leva svalutativa (impossibile se la moneta e’ unica).

Quindi, qualunque sia il “colore” di un governo,

il sistema di controllo monetario dell’euro e le regole di adesione stringenti che siamo stati costretti a firmare per restarvi, come il Fiscal Compact, determinano un unico tipo di politica praticabile: tagli di spesa o aumento delle tasse.

Cio’ corrisponde ad un unico  sistema politico praticabile: il liberismo.

Il Fiscal Compact: cos’è e cosa impone?

Ma cosa ci siamo impegnati a mantenere con la firma del Fiscal compact?

Ecco di seguito i punto focali dell’accordo:

  1. arrivare al pareggio di bilancio (equilibrio tra entrate ed uscite dello stato) che ogni stato deve inserire nella propria costituzione – come operato dal governo Monti
  2. obbligo di non superamento della soglia del deficit strutturale (differenza tra entrate ed uscite) superiore allo 0,5% del PIL ovvero del numero che misura la ricchezza nazionale – per questo sforamenti oltre questa soglia come quelli operati sotto il governo Renzi richiedono autorizzazioni da parte dell’Europa
  3. significativa riduzione del rapporto fra debito pubblico (ovvero del debito che l’Italia ha contratto con i cerditori attraverso la emissione di debito come, ad esempio, l’emissione di Titoli di Stato)  e PIL, pari ogni anno a un ventesimo della parte eccedente il 60% del PIL. Questa notma si aggiunge a quella già firmata sull’analogo rapporto del 3% stabilito con l’accordo di Maastricht
  4. Impegno a coordinare con la COmmissione Europea eventuale emissione di debito, ovvero vincolo a sottoporre le manovre di Bilancio alla Commissione Europea, cosa che facciamo dalla firma del trattato atndendo le lettere di approvazione o disapprovazione dall?Europa, con le conseguenti “correzioni di bilancio” vincolanti da attuale.
  5. l’obbligo per ogni stato di garantire correzioni automatiche con scadenze determinate quando non sia in grado di raggiungere gli obiettivi di bilancio concordati. In Italia questo vincolo si é concretizzato con le cosiddette “clausole di salvaguardia“, ovvero l’aumento automatico dell’Iva ogni governo ha imposto al sucecssivo a partire dal governo Monti.,

E’, quindi, evidente che i margini di manovra di qualunque governo sono praticamente nulli, stante la situazione di grave disavanzo per l’Italia che imepdiscono del tutto l’attuazione di qualunque politica sociale, di ampliamento o adeguamento dei servizi o anche solo di di supporto all’economia.

Concludendo

Di qui la impossibilita’ di imporre regole come la riduzione dell’orario di lavoro a parita’ di stipendio, perché si scaricherebbe sulle imprese che, non potendo compensare con aumento dei prezzi (la merce non verrebbe piu’ acquistata stante la concorrenza a prezzi minori), si vedrebbero costrette a chiudere.

Paradossalmente questo sta già’ capitando da un decennio, ma non perche’ gli stipendi sono alti, ma perché l’euro ci impone il pagamento dei debiti e la riduzione del deficit.

Essendoci una grande disoccupazione e salari bassi, infatti, lo stato deve chiedere denaro in tasse a chi ancora possiede denaro, ovvero alle imprese.Di conseguenza le imprese meno appetibili sul mercato, ipertassate e non più competitive con la leva della svalutazione monetaria,  sono costrette a chiudere, mentre le altre sono svendute alla concorrenza straniera.

Ecco, quindi, che le imprese, per non chiudere, esigono dallo stato norme che consentano di ridurre gli stipendi, lasciando mano libera ad accordi di strozzinaggio con I sindacati, da un lato, e cancellando la contrattazione nazionale dall’altro.

Infine le aziende, non essendo questo sufficiente a sopravvivere, si vedono costrette a richiedere ed ottenere, come avvenuto in italia attraverso il Jobs Act, la libertà’ di licenziamento.

Tutto questo passa in dote all’acquirente della concorrenza straniera che rileva l’azienda fallita già “ripulita” sia di debiti che di lavoratori non più necessari.

Quindi il sistema, non potendosi piu’ riequilibrare attraverso il controllo del valore della moneta, si riequilibrio grazie alla riduzione salariale e alla disoccupazione programmata.

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Sabato Scala, Ingegnere elettronico e ricercatore indipendente, ha elaborato e sperimentato nuove teorie e modelli matematici nei campi della Fisica dell’Elettromagnetismo, delle Teorie dell’Unificazione, dei modelli di simulazione neurale. In quest’ultimo ambito ha condotto ricerche e proposto una personale teoria dei processi cognitivi e immaginativi suggerendo, sulla base della teoria di Fisico tedesco Burkhard Heim e del paradigma olografico prima, e della fisica del vuoto superfluido negli ultimi anni, la possibilità di adozione del suo nuovo modello neurale per la rappresentazione di qualunque processo fisico classico o quantistico