Un imbarazzante monumento funerario alla Gnosi Cristiana nel cuore di Roma: l’Ipogeo degli Aureli – PRIMA PUNTATA

Fin dalla sua scoperta nel 1919, l’ipogeo degli Aureli in Viale Manzoni è stato uno tra i più dibattuti e controversi siti funerari romani.

A partire dalla sua scoperta, numerosi studiosi si sono cimentati, nella interpretazione degli affreschi che ornano le pareti dei tre ambienti sotterranei di cui è composto, fornendo letture spesso opposte e inconciliabili .

Il lavoro interpretativo è complicato dallo stato di conservazione dei dipinti, che spesso appaiono lacunosi o, talora, irrimediabilmente danneggiati a causa dello sventramento e dei danni subiti, nel corso di 2000 anni, dalle costruzioni succedutesi nel tempo che, a più riprese, hanno abbattuto parti delle sue pareti.

Il tempo, l’incuria ed il degrado hanno fatto il resto, tanto che numerosi elementi di dettaglio ancora visibili nelle foto agli inizi degli anni 20, non sono stati recuperati neppure dopo il recente restauro, che, però ci ha permesso di ammirare ed evidenziare nuovi dettagli e ci ha restituito un sito ancora di estremo interesse, nonostate le pitture appaiano ormai uno sbiadito ricordo della luminosità che avevano quando furono scoperte nel secolo scorso.

Con il passare degli anni sono nati diversi “filoni interpretativi” senza che, ancora oggi, sia stato possibile capire quali fossero, con certezza, le convinzioni religiose dei committenti .

Si passa, così, dalle prime interpretazioni dei vari Goffredo Bendinelli, Orazio Marucchi, Joseph Wilpert che proposero, talora con notevole fantasia, una matrice cristiana dell’ipogeo, a quello di studiosi come Cecchelli e Lugli, Carcopino che,tra gli anni trenta agli anni settanta optarono per la matrice gnostico cristiana riproposta nel 1986 dal Valabrega.

Negli ultimi 40 anni, invece, cancellate le letture precedenti, si é affermata e consolidata una “moda revisionista” che ha, negato la matrice cristiana o eretico-cristiana del monumento, propendendo per una lettura pagana o comunque inserita nel costume delle sepolture funerarie coeve.

Alcune elementi di contesto consentono, oggi, di datare con ragionevole certezza la costruzione in un arco di tempo assai ristretto tra il 220 ed il 240 d.C. ma, a mio avviso, si é troppo frettolosamente scartata la matrice gnostica del complesso che pure era stata considerata per un tempo relativamente lungo, da numerosi studiosi.

Le cause sono, probabilente da ricercarsi in due motivazioni tra loro correlate:

  • La prima più importante é l’assenza di una vera e propria “archeologia gnostica” dovuta alla impossibilità di stabilire confronti solidi con precedenti siti. Questo fa si che le interpretazioni “classiche” sia pagane che cristiane, appaiano agli studiosi, più agevoli e meno “pericolose”, essendo dotate di un consolidato supporto di studi e di elementi comparativi archeologici e documentali. Per questo motivo, anche laddove appare chiaro che, nè l’interpretazione classica pagana, nè quella cristiana reggono, vengono a crearsi letture ibride che, pur non convincendo nessuno, per questa o quella lacuna o elemento contrastante, divengono riferimento per gli studi successivi.
  • La seconda é legata alla scarsa importanza, studio e diffusione data alla scoperta di Nag Hammadi che, pur essendo avvenuta nel 1945, ha cominciato a divenire riferimento per gli studiosi solo con la prima publicazione completa per opera Robinson nel 1988 che ci ha fornito, per la prima volta, un completo ed originale quadro di riferimento del pensiero gnostico del I, II e III secolo.

Paradossalmente, come accaduto in diversi campi della archeologia, la pubblicazione integrale dei testi di Nag Hammadi, anziché favorire la rilettura dei siti archeologici dubbi, o un approfondimento delle proposte interpretative gnostiche, specie dove questa possibilità appariva più concreta, ha generato, una sorta di repulsione al punto che, oggi, i siti che in tutto il mondo gli studiosi ritengono collegabili alla gnosi, si contano sulla punta delle dita di una sola mano.

Anche l’ipogeo degli Aureli ha avuto il medesimo destino con la quasi totale scomparsa, negli ultimi 40 anni, di nuovi studi che approfondiscano una possibile matrice gnostica degli affreschi che ornano il monumento.

Errori nel moderno quadro interpretativo che nega la origine cristiana o gnostica del monumento

Ma cosa ha portato la maggioranza dei moderni studiosi, ad escludere collegamenti diretti dei committenti di questo ipogeo, al cristianeismo, sia tradizionale che gnostico?

In primo luogo la mancanza, negli affreschi di questo ipogeo, di elementi definibili sicuramente cristiani ed in particolare della mancanza di elementi simbolici che richiamino la Resurrezione.

Tra i simboli che piú di frequente stoviamo presenti in siti coevi, c’è, ad esempio, il mito di Giona che riporta ai tre giorni che il profeta passó nel ventre di una balena e che, nei vangeli, sono metafora dei tre giorni che Gesù passó nella tomba prima della sua resurrezione dalla morte (sebbene occorre ricordare che essendo morto nel pomeriggio di venerdì e risorto la domenica mattina, egli trascorse nella tomba poco più di un giorno e mezzo).

Ne vediamo alcuni esempi nelle illustrazioni seguenti, dove appaiono, nella prima, una raffigurazione del “riposo di Giona sotto un caratteristico immancabile pergolato, mentre nella seconda, assai più diffusa, l’immagine del profeta la cui testa, o il cui busto, fuoriescono dalla bocca di un mostro marino.

Di queste raffigurazion, nel mausoleo degli Aureli, non se ne trova traccia.

Altro elemento che ha prodotto un iniziale collegamento con il pensiero cristiano é stata la identificazione, poi rivelatasi errata, di una croce sulla volta di uno degli affreschi, poi associata ai resti di una ghirlanda.

Una ulteriore rianalizi delle iniziali interpretazioni cristiane ha riguardato la revisione dell’affresco gravemente lacunoso e assai mal conservato, del primo ambiente che fu ritrovato per primo, nel quale si volle leggere, inizialmente, la coppia Edamo ed Eva, a sinistra con un seprente che lambisce le gambe di Eva, il cui corpo manca del tutto, e Dio Padre che crea Adamo a destra.

Vediamo di seguito quel che resta dell’affresco e una ricostruzione della coppia “Adamo ed Eva”:

Di recente, questa iniziale attribuzione é stata scartata perchè i due presunti Adamo ed Eva appaiono in una posizione diversa da tutte le altre note: Eva volta le spalle ad Adamo. Inoltre manca l’elemento iconografico del pudore visto che quel che resta di Adamo, ne mostra anche i genitali. Oltre ciò, l’albero non appare al centro tra i due personaggi, ed il serpente ai piedi di Eva e non si avvolge al tronco, come solitamente viene raffigurato nella iconografia classica.

In relazione alle obiezioni relative alla interpretazione legata ai Progenitori, va detto che, se si mantiene una collocazione gnostica, possiamo sicuramente aspettarci che l’elemento del pudore,tipico della lettura tradizionale, venga volutamente rimosso poichè, per la Gnosi, la ribellione di Adamo ed Eva suggerita dal serpente come “primo insegnante” della Gnosi, rappresenta l’inizio della liberazione dai lacciuli del falso Dio, il Demiurgo.

Anche la posizione di Eva, che volta le spalle ad Adamo, rivolgendosi al Serpente, non é anomala poichè é dal Serpente che ella riceve l’insegnamento che poi trasferisce ad Adamo che si trova in secondo piano ricevendo da Eva. E’, infatti secondo la gnosi (vedi Origine del Mondo nei manoscritti di Nag Hammadi), Eva che da la vita ad Adamo attraverso un bacio infondendo in lui Zoe, la Vita, che ella aveva ricevuto dall’Eone Sophia collocato oltre i confine del nostro mondo nel Regno del Padre.

Anzi, se restiamo nell’ambito della interpretazione gnostica si comprenderebbe anche la preminenza dell’affresco che occupa la prima delle pareti affrescate, che ci si sarebbe trovati di fronte entrando nel monumento, essendo la ribellione dei progenitori, l’atto principale della Cosmogenesi gnostica, che dà origine al processo di salvezza e che termina con il ritorno del Logos Cristo, come insegnante della Gnosi e sostituto del Serpente.

Ovviamente risulterebbe, parimenti, non compatibile con un contesto gnostico, la presenza di croci o di richiami alla resurrezione. per questo in un contesto simile sarebbe assai anomalo un richiamo al mito di Giona .

CI si potrebbe, altresì , attendere che il Demiurgo venga rappresentato con fattezze umane e senza alcun riguardo per i suoi attributi divini, essendo esso un Dio Inferiore (Iadalbaoth), e che esso crei un essere di fango privo di vita. Sarà infatti il bacio di Eva, che possiede lo Spirito di Vita donatole dalla Sophia superiore, a dare vita all’essere inanimato prodotto dal Demiurgo. Questo é proprio ciò che accade nell’affresco, se si interpetra la parte destra come rappresentazione del mito della creazione di Adamo.

Le anomalie evidenziate, hanno spinto i moderni stusiosi, ad escludere l’iniziale associazione con Adamo ed Eva della parte sinistra dell’affresco, propendendo per questa l’associazione con il giardino delle Esperidi e, parimenti, della parte destra, originariamente associata alla creazione di Adamo, che viene riletta come creazione dell’uomo da parte di Prometeo. Ebbene, come abbiamo illustrato, queste stesse anomalie, provano la perfetta compatibilità con la iconografia gnostica e con la rappresentazione dei Progenitori e della Creazione dell’Uomo, secondo la esegesi della Creazione di Adamo e della ribellione dei Progenitori nella cosmogenesi dell Gnosi Cristiana

In ogni caso, comunuque, a differenza dei primi studi, oggi l’analisi di una corrispondenza con il pensiero gnostico deve partire dai testi di Nag Hammadi, che furono composti e si diffusero, secondo la maggior parte degli studiosi, proprio nel secondo secolo e che, quindi, erano riferimento probabile anche per le comunità gnostiche residenti a Roma..

Si potrebbe obiettare che i testi di Nag Hammadi provengono da un ambiente alessandrino, mentre qui siamo nel cuore della Roma cristiana.

Occorre, però, ricordare che nel II secolo il pensiero cristiano era ancora estremamente fluido e le componenti gnostiche ne costituivano una parte estremamente rilevante e già ben consolidata, come dimostarno le scritture di Nag Hammadi, al punto che lo stesso Valentino, un secolo prima della costruzione dell’ ipogeo, stava per essere eletto vescovo di Roma e divenire, quindi, Papa.

Appare, semmai, strano che questa presenza gnostica certa a Roma non ha lasciato, almeno sulla base della.archeologia moderna, praticamente alcuna traccia nell’arte romana.

La seconda obiezione che possiamo sollevare è relativa alla interpretazione dell’affresco che più di ogni altro, per la maggior parte gli studiosi moderni, costituisce la prova della provenienza pagana dei committenti quello che appare sulla parete est del primo ambiente ipogeo che vediamo nelle illustrazioni in basso

Prima di affrontare la mia controanalisi, passiamo in rapida carrellata quelle avanzate sino ad oggi.

Il più controverso affresco: la parete est del primo ipogeo e la recente convergenza sulla lettura omerica

Le due foto illustrano l’affresco, prima e dopo il recente restauro.

Tutti i principali studiosi oggi sono concordi nel leggere la scena come una sequenza temporale che inizia con il registro superiore e prosegue in quello inferiore letto da sinistra a destra.

Il registro pittorico inferiore viene ulteriormente suddiviso in due parti, quella a sinistra con le tre figure nude e quella a destra con l’uomo sdraiato che fronteggia una donna,. Le due scene sono separate da un telaio per la tessitura, che rappresenta un elemento chiave per la interpretazione dell’affresco.

Bendinelli, al momento della scoperta, seguito dal Grossi Gondi, dal Rostovtzeff ma anche, almeno inizialmente, dal Marucchi, vollero vedere nel registro inferiore e nel personaggio sdraiato, un Ulisse vestito da mendicante a colloquio con Penelope raffigurata vicina al famoso telaio che gli aveva garantito di protrarre indefinitamente, la sua decisione sul pretendente al matrimonio scelto tra i Proci.

Secondo questa interpretazione i tre giovani nudi rappresentano, appunto, i tre pretendenti Proci.

Seguendo questa lettura, nel registro superiore viene rappresentata Itaca e le greggi di Laerte.

Tra i primi tentativi di diversa interpretazione vi è proprio il Marucchi che, in maniera abbastanza isolata, cambiò la sua iniziale posizione e volle vedervi scene riferibili alla vita di Giobbe. La sua lettura parve da subito , essere una forzatura, nonostante egli l’abbia giustificata cercando riferimenti nella letteratura gnostico valentiniana.

Sono seguite interpretazioni, che pur riconoscendo il collegamento omerico, lo hanno proposto come metafora delle vicende cristiane. Tra queste ricordiamo la proposta del Cecchelli che interpreto Ulisse in chiave cristologica. Anche in questo caso il legame appare oggi, chiaramente, una forzatura priva, peraltro, di paralleli convincenti nell’arte cristiana.

La lettura omerica ritorna nelle analisi del Picardi che, però, volle vedere nella scena superiore, l’incontro di Ulisse con la maga Circe che aveva trasformato i suoi compagni in maiali.

Secondo questa lettura Circe, vicino al telaio, dialoga con Ulisse e, accanto a lei, vi sarebbero tre dei suoi compagni, appena ritornati uomini, e per questo ancora nudi. Secondo il Picardi, infatti, i volti dei tre uomini presentano, ancora, vage sembianze animali.

Successivamente vi sono state, tra le numerose interpretazioni, anche coloro che hanno proposto una lettura puramente gnostica, come quella avanzata da Chicoteau che, riprendendo la interpretazione omerica, lesse nei tre uomini nudi, tre iniziati ai misteri della Gnosi che stanno per entrare nel regno di Cristo e della Sofia, sostituendo l’interpretazione di Ulisse e Penelope. Anche per questa lettura, però, mancano precisi e convincenti riferimenti iconografici e letterari.

Sempre il Chicoteau leggeva nel telaio, non solo un elemento di divisione delle scene, ma anche una sorta di “porta di accesso” che richiamava il simbolo del tempo, espresso dalla trama del tessuto facendo riecheggiare, in questo modo, alcuni scritti dei padri della Chiesa.

Chicoteau, quindi, pur mantenendo la interpretazione omerica vi ha visto una metafora gnostica con la quale collegó Maria con Penelope e Ulisse con Cristo

Relativamente al registro superiore, invece, lo studioso vi volle riconoscere due fontane alle quali attribuì il signiicato di oblio e memoria, tratti dagli scritti di Ippolito, associando la donna che vi appare, con Persefone personiicazione della memoria, Mnemosine.

Potremmo continuare proponendo le interpretazioni di Picard, o Grassigli, fino al piú recente studio di Visconti che confermano sia la lettura omerica che il collegamento con la vicenda di Circe e Ulisse

Il collegamento tra il registro superiore ed inferiore degli affreschi, a mio avviso, non può prescindere dalle restanti pitture di questo primo ambiente ipogeo.

In particolare, se manteniamo una lettura dall’alto in basso e da sinistra a destra, i dipinti del muro est sono preceduti dagli affreschi del muro sud. Solo tenendo conto di questo legame cronologico tra gli eventi rappresentati possiamo, a mio avviso, giungere ad una lettura più affidabile del significato dell’affresco del muro est.

Errori nella interpretazioni omeriche: il collegamento con la parete sud e quella nord

Il muro sud contiene una scena assai singolare che mostra un banchetto in cui appaiono dodici persone sedute ad un tavolo, tre a sinistra e nove a destra. La presenza del dodicesimo personaggio a destra, purtroppo scomparso, è intuibile dal fatto che il tavolo si prolunga oltre il l’undicesimo commensale. Questa dodicesima persona, inoltre, apparirebbe alla stessa altezza, e quindi in posizione simmetrica, del primo commensale a sinistra.

Nella parte inferiore sono raffigurati tre servitori. Quello a sinistra porta un pane, quello al centro sembra reggere un calice ( oppure, in alternativa, apre la mano in corrispondenza di un calice poggiato sul tavolo di fronte al terzo personaggio da sinistra), quello a destra tiene un piatto con cibo non riconoscibile.

Tra i tre servitori posizione preminente è data a quello centrale che sembra indicare o presentare il terzo commensale, l’unico che appare fronteggiato da una brocca e che sembra intento ad esporre il suo pensiero ai restanti 11, essendo anche l’unico al tavolo, ad avere la mano sinistra alzata ed aperta.

Tutti e dodici commensali, a meno del secondo da sinistra, sembrano guardare questo terzo personaggio.

Il calice si colloca nella parte bassa dello spazio vuoto che divide il gruppo di tre e nove commensali, in opposizione ad un personaggio femminile che appare in alto mentre sembra toccare il capo del terzo commensale, o mentre versa qualcosa sui di esso.

In un riquadro a destra, sono raffigurati tre personaggi. Il primo gesticola e sembra star esponendo il suo pensiero agli altri due che lo ascoltano. Questa scena, a mio avviso, non é direttamente collegata a quella della mensa, ma rappresenta un evento cronologicamente successivo.

L’affinità con gli elementi dell’ultima cena sembrano abbastanza evidenti, eppure occorre attendere gli studi del Parimbeni e del Mangazzini perchè si passi dalla interpretazione iniziale dell’affresco, come generico convitto funerario, ad un collegamento alla iconografia cristiana del Cenacolo.

La difficoltà di questa associazione é stata motivata dalla assenza del pane, cosa a mio avviso non vera visto che il servitore di sinistra sembra portare tra le mani proprio una pagnotta e dalla identificazione della donna nella parte superiore del dipinto che, con facilità, conoscendo i canoni della Gnosi e la preminenza della Maddalena nei testi di Nag Hammadi, può essere associata alla Maddalena.

Ma, se anche volessimo escludere l’associazione gnostica, la presenza della donna non sarebbe anomala, ma potrebbe essere una sovrapposizione dell’ultima cena, al gesto evangelico che la donna dei Vangeli compie versando olio di nardo sul capo del Cristo.

Sappiamo, infatti, che già nella metà del IV secolo la sovrapposizione dei tre personaggi, non ben identificati nei vangeli: la prostituta, la donna che versa l’olio, quella piange e asciuga i pedi di Gesù alla Maddalena, era un fatto consolidato, tanto che, ad esempio, Paolino di Nola agli inizi del 400 d.C., lo da per scontato nei suoi Inni natalizi.

Stante, inoltre, i suoi rapporti con Agostino e il fatto che gli inni, di certo, furono letti da quest’ultimo, cui il santo inviava in revisione tutte le sue opere, possiamo essere abbastanza certi che la sovrapposizione dei quattro personaggi fosse cosa già consolidata e accettata, al punto da non succitate alcuna obiezione da parte del duro censore di Ippona.

In questo senso, ci pare più che giustificata l’associazione della donna che unge il capo di Gesù durante una cena precedente l’ultima, alla Maddalena e, di conseguenza che ella appaia nella raffigurazione dell’ultima cena sovrapponendo questo episodio al precedente, specie se ci poniamo nell’ambito di una interpretazione gnostica che, come si legge nel Vangelo di Maria, o in quello di Filippo, pone la Maddalena al pari, e spesso al di sopra, dei dodici apostoli.

Vi é, chiartamente, un problema relativo al fatto che nel convitto non appaiano dodici, ma solo undici personaggi (Gesù sarebbe uno di questi), in questo senso però, potremmo immaginare che l’artista abbia voluto escludere Giuda e che, quindi, raffigura la scena dopo che l’apostolo lasciò il bancheto per recarsi dai sacerdoti e tradire Gesù.

Nonostante queste palesi affinità con il cuore del pensiero cristiano e gnostico in particolare, solo il Chicoteau e il Carcopino, hanno identificato la donna con la Maddalena.

Il Chicoteau sebbene, riferendosi al Vangelo di Verità e proponendo un legame con la parete est, ha preferito vedere in questa raffigurazione, un banchetto celeste che accoglierebbe il defunto prima della sua acquisizione in cielo e del passaggio alla nuova vita.

Fu sempre il Chicoteau che, inoltre, identificò i tre personaggi, nel riquadro in basso a sinistra, con i discepoli di Emmaus nel Vangelo di Luca.

Dal canto suo, invece, il Cecchelli, pur non associando la scena all’ultima cena, lesse, nell’affresco, gli undici associandoli agli apostoli e volle vedere nella donna alle spalle del banchetto, una entità ultraterrena che riconosce tra gli undici, il Cristo risorto indicandolo.

Carcopino, invece, seguendo una lettura gnostica, volle vedere nel personaggio centrale che sembra sollevare il calice, non un servitore, ma il Cristo stesso. In questo senso gli parve di poter riconosce una minuscola croce incisa sul calice che egli tiene tra le mani, ma non si limitò a questo.

Identificando con Maria Maddalena la donna alle spalle di Gesù, volle anche vedere una donna anche tra i commensali, e per l’esattezza quella che frontegga Gesù con il calice alzato. Secondo Carcopino sul suo vestito appare una croce ed ella rappresenta la Sagezza discesa dal Pleroma.

Il Carcopino adoperò, come quadro gnostico di riferimento, quello della setta degli Ofiti che ritenevano sufficiente il vino per la celegrazione eucaristica, e per questo lo studioso giustifica l’assenza del pane alla mensa (cosa, ripeto, assai dubbia visto cosa tiene tra le mani il primo servitore a sinistra).