Il Libro di Elkasai e la forma originaria del cristianesimo: il segreto della Grande Metafora

Premessa

Nel lavoro a cura di Mead, di alcuni anni fa che vado a proporre, tratto dal prezioso archivio della Gnostic Society Library e tradotto in italiano, viene presentata una ardita analisi dei resoconti rarissimi della patristica sul movimento e la dottrina degli Ellasaiti e sul contenuto del loro libro principale: il Libro di Elkasai.

Questo gruppo di antichissimi Giudeocristiani è di estremo interesse, poiché essi rappresentavano i testimoni più antichi e diretti del messaggio originario del Cristianesimo, nella forma che era stata trasmessa da Gesù.

Purtroppo la patristica ci ha trasferito davvero poco di questo importante di questa comunità immediatamente confinate nel vasto mondo delle eresie, eppure Mead ritiene di aver trovato un modo per superare i limiti delle pur scarne notizie pervenuteci.

Egli è convinto che gli Elkasaiti, come tutti i primi cristiani, avessero trovato il modo di superare l’oblio della storia e la damnatio memoriae che sapevano sarebbe discesa su di loro e sui loro insegnamenti (a causa della guerra che le potenze di questo mondo avrebbero ingaggiato contro di loro per impedirne la diffusione), attraverso un meccanismo ardito di camuffamento: la metafora.

In altre parole Mead ritiene che tutti i nomi propri e le narrazioni nei testi dei primi cristiani, e degli Ellasaiti in particolare, nascondano, dietro la apparenza di storie attinenti fatti e personaggi reali, il cuffamento degli insegnamenti esoterici più importanti e segreti che consentono la salvezza degli Eletti.

Grazie a questo stratagemma, secondo Mead, gli stessi padri della Chiesa, credendo di denigrare il pensiero eretico, se ne sono fatti inconsapevoli messaggeri nello stesso momento in cui hanno natrato, senza comprenderle e considerandole alla lettera, le storie tramandate da questi gruppi.

Mead amplia il ragionamento ben oltre i limiti ristretti del pensiero degli Elkasaiti e del loro libro, suggerendo che anche le narrazioni evangeliche nascondano, dietro l’apparente volontà di narrare fatti realmente accaduti, una grande metafora destinata a tramandare, nascondendole ai potentati di questo mondo che essi si erano dati il compito di combattere, verità di fondamentale importanza per l’Uomo.

Ovviamente solo ad alcuni viene dato di leggere, dietro queste storie, il loro significato più profondo.

Questa idea, in apparenza assurda e fantasiosa, sembra invece corrispondere perfettamente al metodo descritto in forma esplicita nel Vangelo di Filippo, laddove il testo ci parla del grande inganno dei nomi e mostra come tutti i termini e i nomi stessi usati per i personaggi evangelici, a partire dallo stesso Gesù, nascondono un significato segreto.

Questo nascondimento e la possibilità di disvelarlo data al Cristiano, è il fondamento stesso della Gnosi che trasferisce, come viene insegnato in Filippo, la Veritá attraverso simboli e immagini, e quindi storie, poiché solo così essa può essere conosciuta in questo mondo inferiore e corrotto.

Gli Elkasaiti ed il Libro di Elkasai

[traduzione di un lavoro di G. R. S. Mead per la Gnosti Sociery Library]

Secondo Epifanio, gli Esseni, i Nazoreni, gli Ebioniti ei Sampsaeani avevano un’alta considerazione di un certo documento antico chiamato “Libro di Elxai“, sarà interessante approfondire la questione.

Hilgenfeld ha sostenuto [1] che già lo scriba apocalittico di quella Chiesa primitiva che scrisse il “Pastore di Erma“, o come egli preferisce dire il redattore dell’Erma apocalittico (distinto dall’Erma pastorale), conosceva questo “Libro di Elxai”. Se questo primo scrittore conoscesse o meno il vero libro che i successivi Padri della Chiesa avevano in mente, è ancora una questione sub judice ; ma certamente conosceva una parte dell’enorme ciclo della letteratura apocalittica e del circolo generale di idee con cui tutte le prime scuole mistiche erano più o meno in contatto.

La parte apocalittica del “Pastore” è praticamente una delle innumerevoli permutazioni e combinazioni del mito di Sophia. È una delle tante ambientazioni della tradizione mistica e dell’amore del Cristo e della Sophia, o Sapienza, del Figlio di Dio e della Sua sposa o sorella, lo Spirito Santo, del Re e della Regina, del Signore e della Chiesa. In questa serie più istruttiva di visioni, sono rappresentate le scene mistiche del dramma allegorico della natura interiore dell’uomo. Molto bella e più semplice è la storia raccontata in questo antico monumento della prima cristianità, ed è molto deplorevole che il “Pastore” non sia stato incluso nel Canone; ma forse era, per gli autori del canone, troppo generale, troppo universale.

È anche di grande interesse notare i molti intimi punti di contatto tra i contenuti dell’Erma apocalittico e l’insegnamento dei primi trattati del “Pastore degli uomini” della scuola mistica che guardavano a Ermete, il Tre volte grande. come loro ispiratore, vale a dire, il primo deposito di letteratura trismegistica. Ma questa è un’altra storia che non è stata ancora raccontata.

Come tutti gli altri documenti extracanonici esistenti della Chiesa primitiva, il “Pastore di Erma” è stato sottoposto all’analisi più approfondita della critica moderna e, sebbene la sua unità sia ancora strenuamente difesa da alcuni studiosi, siamo inclini a concordare con Hilgenfeld, che rileva nella forma attuale del documento Hermas tre elementi contenutistici, o tre fasi;

  • (i)l’Apocalittica (Vis. i.-iv.);
  • (ii) la Pastorale (Vis. v.-Sim. vii.);
  • (iii) la secondaria, o appendice dell’ultimo redattore (Sim. viii.-x.). Erma (i) e (ii) non cita  nulla da nessuno dei libri del Nuovo Testamento canonico [2].

È Erma (i), inoltre, che presenta i tratti più distintivi del ciclo delle idee di cui troviamo traccia nei pochi frammenti del “Libro di Elxai” che si possono recuperare dagli scritti polemici dei Padri. Questo Erma apocalittico è decisamente antipaolino, e quindi non ci si può aspettare che citi le Lettere di Paolo, ma ciò che è notevole è che né esso, né l’Erma pastorale, citano alcuno dei nostri quattro vangeli canonici.

Se, quindi, siamo propensi ad accettare l’affermazione dello scrittore del Frammento Muratoriano (170 d.C. circa), che Erma fu scritto a Roma durante il vescovado di Pio (tra i 140-140  e il 155 d.C.), questo deve essere inteso come riferito all’ultimo redattore ritenuto responsabile di Erma (iii), e che sembra essere a conoscenza di diversi libri del Canone, mentre l’Erma apocalittico può essere rimandato almeno al inizio del II sec.

Dobbiamo anche ricordare, non solo, che l’originale greco anche della nostra forma di Erma è andato perduto, ma che è scomparsa anche la versione latina antica, e che possediamo solo una ritraduzione greca di quella latina,[3] e quindi l’originale Erma potrebbe aver contenuto tracce più abbondanti di alcune cose che sarebbero di grande utilità per i ricercatori per comprendere le parti  originali indipendenti e avere una conoscenza più esatta, anche di quelle che sono scomparse nella traduzione e ritraduzione.

In ogni caso, la forma originale del “Libro di Elxai” è, quindi, associata ad una data precoce, e le idee generali in esso presumibilmente contenute , sono ancora anteriori.

La valorizzazione della natura dei suoi contenuti, quindi, è di grandissima importanza per lo storico del cristianesimo primitivo; e poiché Hilgenfeld, nell’appendice [4] alla sua mirabile edizione del “Pastore“, ha opportunamente riunito ogni passaggio dei Padri relativo a questo curioso documento dell’antichità cristiana, porteremo le prove e ne discuteremo.

In primo luogo, dobbiamo ricordare che le nostre scarse informazioni derivano interamente da coloro che non hanno una sola parola buona da dire per il libro o per i seguaci del suo insegnamento. Dobbiamo dolorosamente estrarre i fatti che possiamo dalla frenesia della denuncia indiscriminata, da alcune frasi qua o là estrapolate dal contesto a fini polemici, citando solo cose che apparivano agli eresiologi ridicole, stravaganti o detestabili.

Ippolito, Vescovo di Portus, scrivendo a Roma verso il 222 dC, si dimostrava amaramente irritato dal libro, una copia del quale, dice, era stata portata in Città da un certo Alcibiade, nativo di Apameia in Siria [5]; ma non é affatto chiaro se Ippolito di volta in volta parli del libro stesso o degli insegnamenti di Alcibiade, ques’ultimo si avvalse dell’autorità di quello che considerava un documento antichissimo a sostegno di una visione più clemente del perdono dei peccati, questione che agitava allora fortemente la Chiesa di Roma, e sulla quale Ippolito stesso aveva una visione molto più severa.

Basandosi apparentemente su Ippolito, tutti gli studiosi [6] affermano con sicurezza che, il libro stesso, fu scritto nell’anno terzo di Traiano, cioè il 101 dC; mentre, in realtà, Ippolito non lo dice. È vero che Ippolito afferma (“Filos.”, IX. 13) che Alcibiade dichiarò che il vangelo di una nuova remissione dei peccati fu predicato nell’anno terzo di Traiano; ma fu Alcibiade stesso a fare una tale affermazione, o Ippolito lo dedusse da un passaggio che altrove afferma di citare dal libro stesso?  Non possiamo in alcun modo essere certi di quale potesse essere il testo completo di questo passaggio in origine, poiché nell’unica copia sopravvissuta della “Confutazione” di Ippolito, alcune parole sono completamente corrotte. Va ricordato che abbiamo solo l’unica copia del testo della “Philosophumena“, o “Refutatio Omnium Haeresium” di Ippolito, che fu scoperta in uno dei monasteri sul Monte Athos e portata a Parigi da Minoides Mynas nel 1842 .

Questo brano del “Libro di Elxai” è un riferimento a una famosa profezia dell’epoca, e recita così: “Quando si compirono tre anni di Traiano Cesare Cesare, dal tempo in cui sottomise… i Parti (quando tre anni furono compiuti),[6] si scatenò la guerra tra gli angeli dell’ingiustizia del nord, [7] per cui tutti i regni dell’ingiustizia furono sconvolti” (“Filos., ix. 16).[8] 

Qualunque sia l’esatto significato del passo, non sembra illegittimo concludere che la data “terzo anno di Traiano” ha avuto origine in questa “profezia”, ​​che, per quanto ne sappiamo, potrebbe essere appartenuta al circolo generale di idee, o alla letteratura Elxai (poiché questo non era certamente limitata a un documento), e originariamente non faceva parte del Libro, sebbene potrebbe essere stata successivamente aggiunta al documento apocalittico originale, poiché apparentemente si trovava alla fine della copia nota a Ippolito, e non all’inizio, come alcuni hanno incautamente supposto.

A questo proposito è interessante ricordare che Traiano iniziò la campagna dei Parti nel 114 d.C. e che tre anni dopo la feroce e sanguinosa rivolta degli ebrei di Cirene e d’Egitto, in cui si dice che non meno di un milione di ebrei morirono, egli fu ucciso. Nel 117 Traiano morì e nel 118 Adriano partì per la Maesia (l’odierna Bulgaria), una delle province più settentrionali dell’Impero, per combattere i Sarmati. Se questo è il fatto accennato, allora abbiamo una data di natura simile a tante nella letteratura profetica e apocalittica dei tempi e degli anni precedenti, e possiamo porre il terminus a quo di questo particolare elemento della letteratura Elxai al 118 d.C. Ma sono le visioni mistiche e la cristologia del nostro libro che possono consentire di datarlo? Da parte nostra li consideriamo più probabile la prima possibilità.

D’altra parte, supponendo che la data del terzo anno di Traiano (101 d.C.) sia presa come giusta dà Ippolito, allora, visto che questa “profezia” non si è avverata – (a meno che la prima guerra dei Daci non sia scoppiata nel terzo anno di Traiano, essendo la Dacia la provincia più settentrionale dall’altra parte del Danubio, si ritiene che questo possa vagamente spiegare la “profezia”) – come osserva acutamente Hilgenfeld, il Libro deve essere stato scritto prima di questa data, infatti chi fabbrica una profezia che sa già sessere falsa?[10]

Ma anche così non credo si possa affermare categoricamente che lo stesso “Libro di Elxai” sia stato scritto nel 101 d.C. Può benissimo darsi che la feroce repressione del frenetico sforzo per riconquistare la loro indipendenza operata dagli ebrei di Cirene e dell’Egitto, dove le idee apocalittiche erano particolarmente diffuse, potrebbe essere stato un momento psicologico in cui l’insegnamento mistico del pentimento poteva essere predicato con il massimo effetto, proprio come era avvenuto circa cinquant’anni prima, quando Gerusalemme cadde; può benissimo essere che i circoli esseno-nazareno-sampsaeani abbiano sfruttato questa opportunità per far conoscere i misteri salvifici delle loro tradizioni a beneficio dei loro compatrioti scoraggiati; ma quei misteri non avevano una origine recente.

Chi era, allora, Elxai? Cosa significa il nome?

Il nome è evidentemente semitico; ebraico, aramaico o arabo antico, non importa. Ippolito lo dà come Elchasai, Origene come Helkesai, Epiphanius come Elxai o Elkessai, Epiphanius ci informa inoltre (“Haer.”, xix. 2) che il nome significava il “Potere Nascosto”. Alcuni studiosi lo accettano, [11] altri lo rifiutano,[12] anche se non viene fornita alcuna ragione sufficiente per questo rifiuto. A mio avviso, questo frammento di informazione lasciato cadere da Epifanio – il cui significato non era totalmente in grado di apprezzare, e che riproduce solo perchè servisse come occasione di denigrazione, come in tanti altri casi – ci mette sulla strada giusta fuori da questo labirinto di incomprensioni. Elxai non era il nome di nessun uomo, così come Ebion, il fondatore dell’Ebionismo, come immaginato dagli eresiologi, non era un uomo, e proprio come Colarbaso ed Epifane erano immaginati eretici, e anche in una certa misura Simon Mago.

Quanto al mitico Colarbaso, in ebraico Chol-arba significa letteralmente il “Tutti e quattro”, cioè la sacro Tetrade o Tetractys, che nel sistema di Marco, per esempio, è rappresentato come il Potere Femminile, la Grandezza, la divina Sophia  che in forma di donna era la rivelatrice dei misteri esposti nella scrittura apocalittica in cui Marco esponeva le idee generali della sua tradizione; perché, come dice, il mondo, non poteva sopportare il potere o fulgore della Grandezza o Potenza Maschile, il Cristo.[13] Epifane,allo stesso modo, può essere equiparato al “Nuovo Apparente“, la “luna crescente“, essendo la Luna anche un glifo della Sophia.[14] e anche Simone e Elena sono il Sole e la Luna, il Cristo e la Sofia.

Concludo, quindi, senza avventata fiducia, che Elxai, il potere nascosto, era in realtà uno dei tanti nomi della Sophia o Sapienza, lo Spirito Santo, la sorella o sposa mistica (la Shakti come la chiama il misticismo brahmanico) del Maschile, il Cristo. E ciò è confermato dal principale frammento apocalittico del Libro che è sopravvissuto tra le poche citazioni fatte da Ippolito ed Epifanio, e che si presenta nella forma di una visione del Cristo e di Sofia come di due esseri immensi, che dalla terra si protendono verso cielo più alto, di cui sono date le dimensioni mistiche, proprio come nel diagramma dell’Uomo Celeste, come rappresentato nell’Apocalisse di Marco.

Ma non abbiamo ancora finito, perché Epifanio ci dice che Elxai, che, come abbiamo visto, prende quale personaggio reale, e per giunta un eretico pericoloso e blasfemo, aveva un fratello chiamato Iexaios (“Haer.” xix. 1), e in un altro luogo (“Haer.”, liii. 1), ci informa inoltre che i Sampsaeani dicevano di possedere un altro libro, che consideravano con grande riverenza, vale a dire, il “Libro di Iexai” il fratello di Elxai. Ricordando, poi, che i marcosiani dichiararono che il mondo non poteva sopportare lo sfavillio della “grandezza maschile“, è legittimo ipotizzare che questo “libro di Iexai” sia stato volutamente sottratto alla circolazione generale; era un vero apocrifo. Presumibilmente era un libro contenente i misteri superiori o gli insegnamenti mistici più reconditi di questa tradizione; potrebbe anche essere stato il libro che conteneva quello che si pensava fosse il vero nome e l’insegnamento di colui chiamato Gesù tra gli uomini, nome il cui nome, come dichiara Marco, era ritenuto un sostituto di un titolo molto più antico e sacro.

In breve Iexai era il Cristo, il Re, la sposa di Elxai, il Potere Nascosto, o Spirito Santo, o Sophia; Era forse la Divina Triade nascosta dei Santi Quattro di Marco, il “Triplo Uomo” di altri sistemi. A questo proposito è interessante notare che Iexai è spiegato da alcuni studiosi come il significato in ebraico del “Signore nascosto“. Può, quindi, essere possibile che ci sia qualche collegamento tra il nome Iexai (o Jessai) e gli Iessai o Jessaiani a cui si riferisce Epifanio, come suppone Hilgenfeld? E se sì, quale conflazione o sincretismo c’è tra il termine generico Iexai o Jexai (Signore nascosto) e il Gesù della storia? Perché “Gesù”, dice Marco, è solo il suono del nome di quaggiù e non la potenza del nome; “Gesù”, dichiara, è in realtà un sostituto di un nome molto antico, e il suo potere è noto solo agli “eletti” dei cristiani. Era questo nome misterioso, allora, Iexai?

Ma anche così non abbiamo ancora finito con i nomi.

Ippolito (“Philos.”, IX. 13) afferma  che il “Libro di Elxai” sarebbe stato rivelato a Elxai, che considera un uomo, e che questo Elchasaï, come egli riporta l nome, lo ha consegnato ad un certo Sobiaï. Ora, come abbiamo già visto, con ogni probabilità l’insegnamento del Libro era esposto nella forma di una visione apocalittica, come rivelata da Elxai o dalla Sophia o Sapienza, e che l’uomo Elxai è una finzione dell’immaginazione generata dalla incomprensione patristica, allo stesso modo può anche essere che Sobiaï sia anche essa una personificazione apocalittica storicizzata della stessa classe mentale che storicizzò e materializzò tanto altro di ciò che era puramente mistico e spirituale. Direi infatti che Sobiaï non è altro che la trasformazione di Sophia, poiché, come dice lo stesso Epifanio, sebbene ridicolizzando, il Libro pretendeva di essere scritto profeticamente o, per così dire, per ispirazione della Sapienza (Sophia).

Ancora una volta Epifanio propone a questo proposito altri nomi, e ci narra altro in merito a due sorelle chiamate Marthus e Marthana (o Marthina), che, egli afferma, erano considerate con grande riverenza dagli aderenti alla tradizione di questa Gnosi primitiva; erano, dice, adorate come dee. Il nostro grande inquisitore dell’eresia, tuttavia, dirà che erano vere donne vissute ai suoi tempi. Inoltre, e in questo si lascia sfuggire più di quanto avrebbe fatto se avesse capito, erano della “razza di Elxai” (“Haer.”, xix. 1, e li. 1).[15]

Ora è utile a questo proposito ricordare che Marta in aramaico significa semplicemente “Signora”; Martha è il femminile di Mar (“Signore”).[16] Può quindi essere possibile che anche qui ci troviamo faccia a faccia con qualche altro brandello dei detriti sparsi del mito del Christos-Sophia- un tempo il più elaborato?

Questa non è del tutto una speculazione così azzardata come potrebbe supporre il lettore, poiché troviamo negli Inni siriaci dello gnostico Bardaisan (155-233 d.C.), che lo Spirito Santo, la Madre, la Sophia, ha due figlie, la cui nascita l’ortodosso Efrem, il più accanito oppositore della Gnosi bardesana, scrivendo più di un secolo dopo, si rifiuta di spiegare, e che furono, nella nomenclatura poetica di Bardaisan, chiamate rispettivamente “Vergogna del secco” e “Immagine dell’acqua“.[17] La Madre Sofia si rivolge così al più anziano di loro:

“Colui che viene dopo di te  sia per me una figlia,  una sorella per te”.

Efrem conosce una grande cosa sul mistero del loro concepimento, che dice di vergognarsi di riferire. Sembra però che non sia stato altro che il concepimento della Madre prima senza la sua Sizigia o Divina Consorte, e poi con Lui; la nascita dell'”Aborto” e dell'”Eone Perfetto” — il frutto del “grembo impuro” di sopra quando la madre disobbedì alla “legge di accoppiamento” del Pleroma, e desiderava imitare il Padre sopra tutto e creare senza una Sizigia, e il figlio del “grembo vergine“, nell’economia spirituale del processo mondiale; tutto ciò è esposto con varie elaborazioni e in diverse forme, nel mito di Sophia che ci sono pervenute nelle citazioni dei Padri eresiologici. Nel microcosmo dell’uomo, queste figlie sono, presumibilmente, due aspetti dell’anima umana, la Sophia in basso, o quella dolente; tendente al basso è considerata la “lussuriosa” (Prunico), la prostituta; essa, tendendo verso, l’alto diventa la sposa del Christos.

Sempre negli Atti greci di Tommaso, che contengono ancora molte prime tracce gnostiche nonostante la redazione cattolica, leggiamo:

“Vieni… Tu Santa Colomba che sei madre di due giovani gemelli; vieni Madre Nascosta!”

Abbiamo qui dunque i nostri Marthus e Marthana? Le “sorelle” di Epifanio, quindi, sono semplicemente forme fraintese della Sophia in una delle sue tante trasformazioni? Le terribili difficoltà in cui l’implacabile critica storica sta costringendo i difensori di un conservatorismo inflessibile, ci permetteranno di credere che potrebbe esserci stato un mistero dietro la bella storia storicizzata delle sorelle Maria e Marta e di Lazzaro, il loro fratello, che è stato “risuscitato dai morti” dopo essere stato “tre giorni” nella tomba? Lazzaro non fu allevato come una “mummia”, avvolto in abiti funerari?[18]

Che cosa ha a che fare questo con la tradizione misteriosa dell’Egitto?

La Maria di Lazzaro non è forse ritenuta da molti la Maddalena, la cortigiana, da chi aveva scacciato sette diavoli?

La Sophia in basso non era chiamata la “lussuriosa”, la “prostituta”, la “vergogna dell’arido”?

L’Elena di Simone non era anche chiamata la prostituta?

Anche Gesù, secondo i Giudei, non era figlio di una prostituta?

Può essere che in questa polemica materiale volgare di cose fisiche tra cristiani ed ebreo, potrebbe esserci, nascosta ai polemisti di entrambe le parti, ancora qualche granello di verità mistica quasi miracolosamente preservato?

Perché, ancora, Maria aveva la parte migliore, mentre Marta era la più laboriosa e virtuosa?

L’esegesi ortodossa ha una risposta soddisfacente a questo “detto oscuro”?

Il suo esatto parallelo non si trova nella parabola-misteriosa del figliol prodigo e del fratello maggiore?

Queste sono alcune delle domande che si precipitano nella mente di uno studioso dell’antica Gnosi cristiana, e non rendono illegittimo speculare sul fatto che sotto i nomi Marthus e Marthana non possa essere nascosta una chiave per sbloccare il sotto-significato del bel racconto evangelico di Maria e Marta.

Infine abbiamo visto che Epifanio dà Martina come variante di Martana. Ora è notevole che Epifanio ci parli anche di alcuni eretici che chiama Merinthiani (“Haer.”, XXIX. 8). Dell’origine o del significato di questo nome ammette di non sapere nulla, e può solo suggerire che derivi da un certo Merinto, che suggerisce essere identico al famoso primo gnostico Cerinto; tuttavia, confessa che questa è una pura ipotesi da parte sua. È quindi possibile che il nome Merinthiani sia una trasformazione di Marthiani? Nessuno tranne Epifanio sa di questi Merinti. Ha inventato il nome? C’era davvero un cerchio o una linea di tradizione che portava un nome simile, può essere che il nostro famoso cacciatore di eresie abbia sentito male, Perciò quelle lacrime!

La domanda, tuttavia, che è di massima importanza per noi, è scoprire quali erano le opinioni riguardo al Cristo sostenute da coloro che usarono l’Apocalisse di Elxai come una delle loro scritture.

Come abbiamo visto, il principale elemento apocalittico di questo libro era una visione, o due grandi esseri in piedi fianco a fianco: il Christus (“Haer.”, xix. 1) e Sophia sopra (“Haer.”, xxx. 3, 17 ), l’Uomo Celeste diviso in maschio-femmina ; la potenza maschile era anche chiamata il Figlio di Dio, la femmina lo Spirito Santo (Hipp., “Philos.”, ix. 13).

Nell’economia umana, tuttavia, “Christus” era apparentemente, secondo Epifanio (“Haer.”, liii. 1), non considerato assolutamente identico alla divinità; questo era, nel suo senso microcosmico, apparentemente, il Sé spirituale nell’uomo. Questo Sé era stato prima rivestito con il paradisiaco “Corpo di Adamo“, ma egli lo aveva deposto e lasciato in Paradiso, la veste superceleste lasciata nell'”ultimo limite” fino al giorno glorioso della rivincita del Conquistatore, secondo il documento denominato Pistis-Sophia, o la “veste di gloria” del bellissimo inno di Bardaisan, [20] – Egli l’aveva deposto quando discese attraverso le sfere, rivestendosi in ciascuna della “veste di un servo“, ma alla fine lo riprenderà in trionfo.

Di questo Christus la Sophia, o anima umana, era sorella o sposa; Fu chiamato il Gran Re (“Haer.”, xix. 3). Ma Epifanio non riesce a trovare nulla nell’insegnamento di questi primi mistici per confermare le sue successive opinioni ortodosse su “Gesù Cristo”, ed è naturalmente molto perplesso per la natura antistorica del loro trascendentalismo universale. Ippolito (“Philos.”, ix. 14), tuttavia, ci dice che il loro insegnamento riguardo al Cristo dei cristiani, cioè riguardo a Gesù, era che era nato come tutti gli altri uomini; negavano che il Cristo dei loro misteri fosse nato per la prima volta da una vergine; il mistero che Cristo era nato prima, anzi, era nato ancora e ancora, e stava ancora nascendo, e, ancora, era stato e si manifestava, cambiando le sue nascite e passando di corpo in corpo.

Teodoreto, scrivendo nel V secolo, ci fornisce alcune ulteriori informazioni confuse quando si tratta degli Elcesani.[19] Riguardo a questo mistero del Cristo, dissero che Egli non era uno, cioè apparentemente non era semplicemente Gesù il Nazareno, come credevano i cristiani. C’era, sostenevano, un Cristo in alto e un Cristo in basso; il primo aveva dimorato anticamente in molti, e in seguito era disceso, cioè, presumibilmente, aveva trovato piena espressione.

Teodoreto immagina che questo mezzo sia disceso in Gesù, o sia sceso sulla terra; ma anche così non riesce a capire la dottrina e si confonde irrimediabilmente su ciò che dicono riguardo a Gesù. Perché a volte, dice, dicono che è uno spirito, a volte che ha avuto una vergine per madre, mentre in altri scritti dicono che non era così, ma che era nato come altri uomini; inoltre insegnano che Gesù (o meglio il Cristo in Gesù) si reincarna ancora e ancora e va in altri corpi, e ad ogni nascita appare in modo diverso.

Tutto questo, sebbene apparentemente determini una confusione senza speranza per la mente ordinaria, è abbastanza chiaro per il mistico, ed è strano che con tutta la loro meravigliosa industriosità, gli studiosi non abbiano saputo dissotterrare le principali concezioni di questa illuminante idea dagli scritti polemici dei Padri della Chiesa; tanto più come è chiaramente affermato in altri primi scritti che sono fortunatamente sfuggiti alla distruzione generale, come mostreremo altrove. Ma per quanto riguarda il nostro argomento specifico di ricerca, non possiamo lasciarlo senza dare quella che sembra essere una buona prova come ci si può aspettare nella letteratura cristiana primitiva, che l’insegnamento di Elxai risaliva a una data molto precoce; poiché anche le poche citazioni sparse che siamo in grado di estrarre dalla letteratura polemica patristica, lo mostrano molto chiaramente.

È noto che gli esseni e le comunità alleate, pur rimanendo sul terreno dell’ebraismo, erano fortemente contrarie ai sacrifici di sangue e agli olocausti del Tempio. Quando, poi, troviamo una citazione dal “Libro di Elxai” che si riferisce distintamente a questi sacrifici, non ci si può accusare di temerità nel concludere che questo documento, o comunque parte di esso, esisteva ai tempi in cui i sacrifici del Tempio erano ancora mantenuti, cioè prima del 70 dC, quando il Tempio fu distrutto e cessarono i sacrifici, che solo in esso potevano essere compiuti.

Riferendosi a questa stessa condanna dei sacrifici di sangue del Tempio a Gerusalemme, Epifanio (“Haer.”, xix. 3) cita il “Libro di Elxai” come segue:

“Figli miei, non andate all’immagine del fuoco, perché sbagliate, perché questa immagine è un errore. Lo vedete [il fuoco], si dice, molto vicino, eppure è lontano. Non andate alla sua immagine; ma andate piuttosto alla voce dell’acqua!” 

Questa è evidentemente un’istruzione di non visitare il Tempio a Gerusalemme. La ragione è data in una citazione, apparentemente da una scrittura ancora più antica, perché il riferimento è cambiato da “tu” a “voi”, e viene introdotto come citazione nella forma “egli dice”. Ora sappiamo che questi mistici adoravano il Sole spirituale, come potenza maschile del Logos, il vero “Fuoco” della Gnosi “Simoniana”. L’espressione “voce dell’acqua” sembra, a prima vista, estremamente strana; quando, tuttavia, ricordiamo che quegli gnostici consideravano “l’acqua” come la “fonte di tutte le cose“, non certo l’elemento fisico, l'”immagine” dell’acqua, ma l'”acqua della vita“, la vita (Sophia) essendo la sposa della Luce (Christos), – colei che era la Madre di tutti, – la é il luogo in cui vengono messi da parte i sacrifici fisici e inculcata la dottrina del sacrificio veramente spirituale del cuore. Cos’altro può essere questa “voce” se non il Bath-kol,[21] la “voce celeste” a cui i profeti prestarono orecchio, secondo questi stessi mistici e poi il Talmudismo?

Quest’acqua, dunque, era il Mare della Vita, e molto si potrebbe dire a riguardo. È presso la riva di questo Mare che è il Monte su cui “dopo la risurrezione” Gesù, il Vivente, raduna i suo discepoli, o Ordine dei Dodici, e mostra loro i misteri degli spazi interiori, portandoli con sé come descritto in uno dei trattati del Codex Brucianus. Basterà, tuttavia, per il momento ricordare ai nostri lettori che il “pesce” ( ichthus ) era uno dei primi simboli del Cristo. Non solo, ma i neofiti paleocristiani erano chiamati “pescicelli”, e anche alla fine del II secolo Tertulliano scrive: “Noi pesciolini (pisciculi) , secondo il nostro Pesce { Ichthus ), nasciamo nell’acqua .” Ci vorrebbe troppo tempo per seguire questa interessante traccia, ma l’idea non sarà così difficile da cogliere se citiamo parte della famosa iscrizione sepolcrale di Autun, scoperta nel 1839, la cui data di composizione è fortemente contestata,e va dal II al VI sec. Marriott traduce questa preziosa reliquia del passato come segue:

“Progenie del celeste Ichthus (Pesce), guarda che un cuore di santa riverenza sia tuo, ora che dalle acque divine hai ricevuto, mentre ancora tra i mortali, una fonte di vita che è verso l’immortalità. Viva la tua anima, amato, con le acque sempre fluenti della Sapienza che dona ricchezza [Sophia], e ricevi il cibo dolce come il miele del Salvatore dei santi. Mangia con brama famelica tenendo Ichthus nelle tue mani”. [22]

C’è una curiosa analogia tra queste idee e alcune di quelle di cui abbiamo poche tracce nelle iscrizioni trovate su tavolette d’oro nelle tombe di Thurii in quella che un tempo era la Magna Grecia, e altrove. Si suppone che ci fosse una sorta di Libro dei Morti orfico o pitagorico, “Il passaggio nell’Ade” o “La discesa nell’Ade“, da cui alcune di queste iscrizioni traggono citazioni. Queste tavolette erano evidentemente poste dentro le tombe di antichi iniziati orfici o pitagorici, e su una di esse leggiamo: 

“Nei palazzi dell’Ade, a sinistra, troverai una sorgente, e vicino ad essa un cipresso bianco in piedi; questa sorgente non dovresti avvicinarti. Ma là [a destra] verrai su un altro lato, dal lago della memoria un’acqua fresca che scorre. Davanti a essa sono i guardiani: a loro dirai: ‘ Della terra e del cielo stellato sono figlio, la mia razza è del cielo. Ma questo dovete sapere da voi stessi. Di sete io inarido e muoio; presto, dammi da bere dell’acqua fresca che sgorga dal lago della Memoria!’ Allora ti daranno da bere alla sorgente degli dèi, e poi regnerai con il resto degli eroi.”  [23]

Inoltre il legame tra questo meraviglioso simbolismo dell'”acqua viva” di queste prime scuole mistiche cristiane e la bella storia evangelica della donna di Samaria e del Cristo, e con le numerose figure di pesci introdotte altrove nei racconti evangelici, deve colpire anche il meno attento.

È anche da notare che il “pesce” ha avuto un ruolo importante in una delle varianti del rito eucaristico (i cinque pani e i due pesci) del cristianesimo primitivo, ed è anche di grande interesse ricordare che la forma molto semplice del pasto dell’alleanza dei primi cristiani esseni di cui stiamo trattando, era il pane e sale, o pane e acqua, il frutto del sole e del mare, perché evitavano il vino.

Il “Libro di Elxai“, quindi, almeno in una delle sue edizioni, poiché senza dubbio fu modificato e rieditato come tanti altri di questi primi documenti, risalirebbe almeno al 70 d.C., mentre anche in quella edizione troviamo citata una precedente scrittura. Inoltre, tutto ciò che ci viene detto di questi primi “cristiani”, poiché consideravano il Cristo mistico come l’ideale di tutte le loro aspirazioni, è di stampo molto primitivo e in stretto contatto con molto di ciò che apprendiamo riguardo agli esseni e ai terapeuti . Sono quindi persuaso che siamo, qui, in contatto con un corpus di idee che, per quanto ne sappiamo, potrebbero essere prepaoline, e che non siamo lontani dalla scoperta di uno dei fattori più misteriosi nella genesi della grande religione del mondo occidentale.

Prima, tuttavia, di chiudere questo capitolo sul misterioso “Elxai“, che, come abbiamo visto, non è mai esistito, eppure esiste da sempre, c’è da menzionare un frammento di informazione che potrebbe gettare ulteriore luce su questa prima e più diffusa “eresia” della cristianità.

Abbiamo già visto che alcuni resti di questi primi insegnamenti sono preservati ancora oggi dai Mandaiti, o cosiddetti cristiani di San Giovanni. È quindi interessante apprendere che gli “Elcasaisiani“, distintamente così chiamati, esistevano ancora nel X secolo. Mahammed ben Is’haq en-Nedim, nel suo “Fihrist” (scritto nel 987-988 d.C.) ci parla dei Mogtasilah, o Battisti, che erano allora molto numerosi nei distretti palustri tra il deserto d’Arabia, il Tigri e l’Eufrate. Il loro capo, dice, era chiamato el’Hasai’h (Elchasai), ed era il fondatore originale della loro confessione. Questo el’Hasai’h aveva un discepolo chiamato Schimun.[24]  Hilgenfeld[25] pensa che Schimun possa essere Sobiaï, ma a mio avviso Schimun (Shimeon o Simon), se mai fosse stato un mortale, è più probabile che fosse Simon Mago, e questo confermerebbe la prima datazione dell’insegnamento Elxai. O, se si pensa che questo sia troppo preciso, allora lo Schimun di Elxai, lo Spirito Santo, potrebbe aver avuto originariamente qualche connessione con Shemesh, il Sole spirituale dei Sampseani e dei Simoniani, la Sposa dello Spirito o dell’Acqua, Helena (Selene) o la Luna, e l’irresponsabilità nella leggenda che ha “destabilizzato l’ordine” originario.

Infine dobbiamo ricordare che il profeta Nahum, nome che significa “ricco di conforto” o “consolatore“, è chiamato l’Elkoshita (“Nah.”, i. 1), nome dato nella traduzione greca dei cosiddetti Settanta come Elkesaios.[26] Inoltre Girolamo ed Epifanio (o pseudoepigrafico) ci dicono che questo profeta nacque in un villaggio della Galilea chiamato Elkesei.[27] Va inoltre ricordato che Cefarnaum significa il villaggio o la città di Nahum, e fu qui che Gesù iniziò il suo ministero, e dove operò specialmente. Inoltre leggiamo nel racconto del primo evangelista (Matt. ix. 1): “Ed egli salito su una barca,  passò (il lago di Galilea), e si trasferì nella sua propria città ” — che il passaggio parallelo in Marco (II. 1) dà come Cafarnao.

Che curiose coincidenze per un amante degli enigmi talmudici e affini!

[1] Hilgenfeld (A.), “Hermae the Shepherd” (Lipsia; 1881, 2a ed.), Introd., pp. xxix., xxx.

[2] Hilgenfeld, op. cit., pp. xxx, xxxi

[3] Cfr. De Gebhardt (O.) e Harnack (A.), “Shepherd of Hermes”, in “Works of the Apostolic Fathers”, fascic. iii. (Lipsia; 1877), Prolegg. xi. no. 2.

[4] “I frammenti di Elxai raccolti, digeriti e giudicati.”

[5] L’originale “Libro di Elxai” era presumibilmente in ebraico, e successivamente fu tradotto in greco.

[6] Così anche Hilgenfeld, op. cit. , p. 233.

[7] Probabilmente un gloss.

[8] aggizetai , vocabolo rarissimo, che non si trova affatto in Liddell e Scott, mentre nel Lexicon di Sofocle (New York; 1887) gli unici riferimenti sono al nostro brano ea Symm. Prov. xv. 18. Sofocle dà il significato di “irritare, eccitare”, mentre Duncker e Schneidewin traducono ” exardescite “.

[9] Uso il testo più recente e le note critiche di Duncker (L.) e Schneidewin (FG), “S. Hippol. . . Refutation of All the Remaining Heresies” (Göttingen; 1859), e ritengo l’emendamento dato da Hilgenfeld , nella sua “Ketzergeschichte des Urchristenthums” (Lipsia; 1884), p. 435 n. 757, in quanto

[10] Op. cit ., pag. xxx. troppo arbitrario.

[11] Vedi l’articolo di Salmon “Elkesai” nel “Dictionary of Christian Biography” di Smith e Wace (Londra; 1880).

[12] Cfr. Hilgenfeld, op. cit., pag. 230.

[13] Vedi “The Number-System of Marcus” nel mio “Fragments of a Faith Forgotten” (Londra; 1900), pp. 358-382.

[14] Su. cit. , p. 234.

[15] A questo proposito possiamo opportunamente porci la domanda: chi sono gli gnostici i cui dogmi ci dice Origene (“C. Celsum”, v. 62) erano noti a Celso, cioè almeno già nel 175 d.C. , e chi erano conosciuti come “quelli di Marta”?

[16] Un audace studioso ha persino suggerito che Mar essendo in siriaco un titolo generale di distinzione, Epifanio ha scambiato i nomi di due vescovi di opinioni non ortodosse per nomi di donne, e così ha sviluppato la sua storia d’amore,

[17] Cfr. Hilgenfeld (A.), “Bardesanes the Last Gnostic” (Lipsia; 1864), pp. 40, 41; e Lipsius (RA), “The Apocryphal Stories” (Brunswick; 1883), i. pp. 310, 311.

[18] È alquanto strano trovare Tertulliano (“De Corona”, viii.; Oehler, i. 436) riferito al “telo di lino” di cui Gesù si cinse, menzionato in Giovanni xiii. 4, 5, come “vestimento appropriato di Osiride”. Il “vestito appropriato di Osiride”, ovviamente, consisteva negli involucri di lino della mummia. Sembra quindi che Tertulliano abbia raccolto una frase che non capiva del tutto e l’abbia usata in modo inappropriato.

[19] “Delle Elcesae”, in questi “Compendio di favole eretiche”.

[20] Vedi l'”Inno della veste della gloria” nei miei “Frammenti”, pp. 406-414, e anche la mia traduzione di Pistis-Sophia (Londra; 1896), pp. 9 ss.

[21] Lett. “Figlia della voce”.

[22] Vedi art. “Ichthus”, nel “Dizionario delle antichità cristiane” di Smith e Cheetham (Londra; 1875).

[23] “Inscr. Gr. Siciliae et Italiae”, 638. Vedi anche Foucart (P.), “Recherches sur 1’Origine et la Nature des Mystères d’Eleusis”. “Extr. des Mem. de 1’Acad. des Ins. et Belles-Lettres” (Parigi; 1895), tom, xxxv., 2d partie, pp. 68 segg; e anche i miei articoli “Notes on the Eleusnian Mysteries” nella “Theosophical Review” (Londra; 1898), vol. XXII, pp. 145 segg., 232 segg., 312 segg., 317 segg.

[24] Cfr. Chwolsohn, “The Ssabians and Ssabism” (San Pietroburgo; 1856), ii. pp. 543 segg.

[25] Su. cit. , p. 232.

[26] Vedi l’art. di Budde. “Elkoshita” nell'”Enciclopedia Biblica”.

[27] Hieron., “Comm. in Naum”, prefazione, Opp., vi. 535; Epiph., “Sulla vite dei profeti”, c. 18. Cfr. Hilgenfeld, op. sup. cit ., pag. 231

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Sabato Scala, Ingegnere elettronico e ricercatore indipendente, ha elaborato e sperimentato nuove teorie e modelli matematici nei campi della Fisica dell’Elettromagnetismo, delle Teorie dell’Unificazione, dei modelli di simulazione neurale. In quest’ultimo ambito ha condotto ricerche e proposto una personale teoria dei processi cognitivi e immaginativi suggerendo, sulla base della teoria di Fisico tedesco Burkhard Heim e del paradigma olografico prima, e della fisica del vuoto superfluido negli ultimi anni, la possibilità di adozione del suo nuovo modello neurale per la rappresentazione di qualunque processo fisico classico o quantistico